“… Brian Stanford è un giovane artista inglese che vive nel Canton Ticino dal 1968, dove è venuto a insegnare al Fleming College di Vezia (…)
Viene da un villaggio della contea di Kent, dove è nato il primo gennaio 1939. Studia a Londra nell’ultimo scorcio degli anni cinquanta e nella prima parte degli anni sessanta.
La mente ritorna automaticamente all’intensità di quella stagione. In essa si concentrano le più esemplari lezioni del secolo, oramai antropologicamente culturalizzate: dal cubismo, al costruttivismo, all’astrattismo. In più ci sono i fermenti delle sperimentazioni di cui l’Inghilterra è un centro autonomo per quanto è permesso dalle ondate provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa. E ci sono, in Inghilterra, alcuni grandi artisti del dopoguerra; da Bacon a Sutherland a Moore. Di quest’ultimo l’Observer, se non mi sbaglio, dirà, in occasione del sett’antesimo compleanno, che è il più grande inglese vivente. Per un giovane i suggerimenti sono innumerevoli, gli esempi a portata di mano, i maestri illuminati, le sollecitazioni speculative da cavalcare coraggiosamente.
Brian Stanford si trova in mezzo a tutto questo: solidità di tradizioni, ricchezza di presente culturale e artistico, sperimentazione che esalta le qualità immaginative: arte pop, arte spaziale, l’esperienza ottica (op-art), il pensiero matematico riflesso figurativamente in un rapporto reciproco continuamente variato (Vasarely).
Dentro questo magma, il filone nel quale Brian Stanford attinge più squisite ragioni per il suo sentiment artistico non è quello venato dalle crisi dell’attualità: lo attiran, invece, gli insegnamenti di Braque, di Klee e di un maestro conterraneoe contemporaneo: Ben Nicholson. E, sullo sfondo, è da collocare lo spirito della Bauhaus, il cui concetto di architettura come disciplina che comprende in sé tutte le arti ha conquistato ampio viglre dappertutto.
Queste indicazioni non vanno prede in senso restrittivo. Sono riferimenti per una prima ipotesi critica del lavoro di Stanford: lavoro che genera dalle fonti indicate, ma poi si muove con un tono personale, teso e controllatissimo, dove domina lo spirito dell’understatement inglese, quel particolare riserbo che è un marchio britannico. (…)
Rara, per non dire straordinaria, è la capacità di disegno di questo artista inglese. La felicità della sua mano si esprime con una sicurezza da compasso specialmente nei movimenti circolari e ondulati, nella definizione del rotondo, dell’ovale, delle curve.
Spontaneità ed eleganza, purezza di contorno, padronanza di segno e di scrittura sono doti formali che, arricchite da una tecnica sapiente e raffinata del colore, gli consentono una intensità espressiva insolita. Ma anche quando il vento trafigge e panicamente impallidisce le colline e il mare della Cornovaglia, anche quando il temporale incupisce e sconvolge il cielo di Caslano, anche quando il pendolo scandisce impetuoso il fluire drammatico del tempo, ci sono discrezione tonale, quella chiarezza intelletuale, quella tensione serena, quell’incanto culturale che fanno di Brian Stanford un poeta di armonie equilibratrici di crescita e di corrosione, di incertezza e di sicurezza, di precisabile e di indefinibile. …”
Estratto dal volumetto
Brian Stanford a cura di Eros Bellinelli, Edizioni Pantarei, Lugano, novembre 1973
La mostra sarà presentata da Matteo Belinelli che ebbe in Brian Stanford un insegnante d’arte illuminato e appassionato presso il Fleming College di Vezia dal 1968 al 1970.