Es gibt nichts Gutes, ausser man tut es! (Erich Kästner)
“Nulla di buono può essere fatto, se non lo si fa”. Ecco l’aforisma che accompagna i mutamenti di Egon Schneebeli, il Wesch, e che lo affianca da sempre nei tentativi di dare una forma al suo colore.
In questo spazio espositivo, l'artista raggruppa buona parte dei materiali che ha scavato, piegato, ferito o accarezzato nel corso della sua vita e nel susseguirsi delle sue mute.
Nei volumi o sulla pelle di ognuno di questi materiali (che sia il legno o sia la tela, che sia il metallo o il sasso, che sia una resina) riporta costantemente la marcatura dei suoi simboli e le sue tipiche sagome umane, indifferenziate e forate. “Le mie figure”: è così che lui le ha sempre chiamate.
Se gli si chiede di descriverle, taglia corto e dice solo: “Sono … Menschen”.
E in quel “Menschen” ci deve stare tutto: l’essere umano, la persona, l’individuo, la gente. Ci deve stare l’Uomo e tutta la folla di sinonimi con i quali tradurlo e narrarlo.
In una recensione ad una sua mostra, fatta più di 40 anni fa, è stato scritto: “Tema di Schneebeli-Wesch è l’uomo. L’uomo come entità vacua, come risultato di insoddisfazione e incompletezza spirituale”. (d.a) Giornale del popolo, 1975
Chi ricorda i suoi dipinti di quell’epoca, ricorda forse le loro trasparenze, gli spessori sottili del colore di superficie e le loro sovrapposizioni. Ricorda il porsi dei segni e dei simboli, gli uni sugli altri, come scaglie.
E ricorda le sagome umane, sempre quelle, asessuate e forate, che si attraversano in filigrana.
Erano i “Menschen” di allora, e trovavano punti di incontro solo intersecandosi.
Ma perfino in quei territori comuni apparivano insoddisfatti e soli: come estraniati da un creatore.
Oggi, invece, quelle che in fondo sono rimaste le stesse figure, appaiono liberate da questa percezione di assenza e sembrano non porsi più dolorose domande.
Ed è forse per questo che le sue ultime figure, i suoi Mutanti, ci arrivano così dense e sfrontate: come se avessero deciso all’improvviso di sollevarsi e di passare da silhouettes a corpi.
Corpi che riassumono in sé il protagonismo della personale palette di colori dell’artista e che ci rivelano tutto il suo piacere nell’ avvolgerla, finalmente, attorno a dei volumi.
Questi nuovi “Menschen” pretendono spazi in cui incastonarsi e ambienti da rispecchiare.
E così, come le Sculture da parete in acciaio cromato, oggi anche i Mutanti riflettono i volumi dell’ambiente che li circonda. Attraverso i fori e attraverso il vuoto, adesso, modellano volumi nuovi.
A tratti, nel suo scarnire i materiali, Wesch torna a soffermarsi sui bassorilievi.
Sono tutti identificabili nella scelta della sua tavolozza e nella ricorrenza dei simboli; ma alcuni sono così lontani dalle onde dell’acciaio, dalle rotondità delle figure e dalle contorsioni dei marmi, da sembrare quasi pelle altrui.
Simili ad algoritmi o a partiture, ci raccontano la parte più razionale dell’artista.
E ci ricordano che il mutare racchiude in sé il periodico succedersi di variazioni e di rinnovamenti.
Fabiola Dattrino-Schneebeli